tratto da Portalecce.it

I giorni destinati a entrare nella storia, di solito, si vestono di quotidianità Così, riguardando le foto, si nota tanta gente, un popolo che, come ogni domenica, indossa il vestito della festa.

 

Mentre la Chiesa di Lecce si preparava a un cambio in qualche modo epocale: mons. Francesco Minerva, non solo coronava le attese di un quartiere di periferia, ma a sua volta consacrava la trentesima chiesa, l’ultima del suo trentennale ministero leccese, come tutte ne porta sulla facciata lo stemma e il motto episcopale: Nulla sapientia sine fide, unica però a presentare in esso le insegne di metropolita del Salento.

Senz’altro il 22 febbraio 1981 è un giorno destinato a entrare nella storia. Oppure può essere considerato il crocevia, il punto d’incontro più significativo, fra un passato iniziato nei primi anni 60 del secolo scorso, con don Edmondo Adamantino, un prete piccolo quanto a statura, ma con un coraggio grande, suggerito dalla fantasia dello Spirito Santo, tra strade non ancora asfaltate, in una stanza, poi un garage, infine un salone, adattati per essere la casa di Dio tra gli uomini, in un tempo gravido anch’esso di svolte epocali, eppure vissute con le cadenze e i ritmi della normalità.

Sono passati quarant’anni dalla consacrazione della Chiesa. E non viene da aggiungere “ormai”, perché, nel mistero del tempo, in cui si esprime il disegno di Dio, lo sguardo è proteso in avanti, a scrutare l’orizzonte, come la sentinella del mattino di cui racconta il profeta Isaia.

La Chiesa, del resto, per essere fedele alla sua missione, custodisce in grembo il Deposito della Fede, e scruta i segni dei tempi, perché l’annuncio del Vangelo possa vivere la sua incarnazione, attraverso le vicende del tempo.

Si sono succeduti i vescovi, nella Chiesa di Lecce: prima mons. Mincuzzi, poi il ventennale episcopato di mons. Cosmo Francesco Ruppi, e più recentemente, mons. Domenico D’Ambrosio, sino all’attuale pastore, mons. Michele Seccia. Si sono succeduti i parroci, nella chiesa monteronese intitolata al Sacro Cuore. Dopo don Edmondo, don Arcangelo Giordano, nel corso di due anni molto intensi, ha dato avvio ad un rinnovamento, che prima ancora delle strutture ha visto coinvolte tante persone. Questo, infatti è un popolo cresciuto con la sua Chiesa. Così è stato nel decennale servizio di don Luciano Forcignanò, attraverso il dinamismo di don Luigi Lezzi, e l’attività di don Giuseppe Spedicato, che si è servito della sua passione per l’arte teatrale, per veicolare un messaggio che, per la sua modalità espressiva, tocca tanti giovani e non.

Cambiano i talenti, i volti, e i tempi, ma nella quotidianità c’è un popolo che continua a crescere. Cresce in numero, perché si tratta di famiglie giovani, in un quartiere in espansione. Cresce nella formazione, perché ogni parroco ha avuto modo di proporre un cammino i cui frutti potremo vedere solo a distanza di altro tempo. Cresce con tutti i suoi limiti, nella consapevolezza che ciascuno può offrire qualcosa di sé, anche dei suoi limiti, perché l’amore verso la Chiesa e il senso di appartenenza ad una comunità è concreto e, come tale, scorre attraverso i giorni raccontando vicende ricche di umanità.

Un anniversario significativo, in un tempo liturgico significativo, in un momento particolarmente significativo: sono giorni dedicati al silenzio dell’adorazione eucaristica, definito come “quarant’ore” dalla pietà popolare; uno spazio di grazia, sulla soglia del tempo liturgico dei quaranta giorni quaresimali, come rendimento di grazie per questi quarant’anni. Oltretutto da circa un anno viviamo il tempo incerto in cui ricorre il termine “quarantena”. Nella Scrittura, il ricorrere del numero 40 indica lo spazio di grazia che prelude al rinnovato incontro della creazione col suo Creatore, dell’uomo con il suo Redentore, della Chiesa sposa con il suo Sposo. Tempo per riconoscere i doni di Dio, nella quotidianità, con lo sguardo proteso al futuro di un incontro “già” avvenuto e “non ancora” pienamente compiuto. In questo spazio, in questo tempo, continuiamo ad essere segno, popolo che cresce come Chiesa.

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