I primi tre Vangeli sono detti sinottici, cioè simultaneamente visibili su colonne parallele, in quanto simili nello stile e nella successione degli episodi narrati. Il Vangelo di Giovanni si differenzia per lo schema di riferimento, per l’organizzazione redazionale e per l’impronta tipica dell’evangelista dall’occhio d’aquila, che racconta con parole semplici, ma richiede attenzione a cogliere i diversi significati, per rendere sempre più ampia e profonda la comprensione del testo.

Il brano riportato per la quarta di quaresima, presenta una differenziazione importante nello stile. Mentre i sinottici presentano il Maestro che si rivolge a un numero sempre maggiore di persone, attraverso i vari discorsi ai discepoli o alle folle, Giovanni preferisce privilegiare il racconto di un dialogo tra Gesù e alcuni interlocutori.

Ancor prima di considerare i contenuti del testo, credo valga la penna di soffermarci su questo aspetto. In un tempo di crisi, dovuto alla pandemia in atto, sentiamo continuamente ripetere la necessità di evitare assembramenti, di assicurare una distanza fisica di sicurezza, di limitare gli incontri personali allo stretto necessario. I luoghi di aggregazione sono guardati con sospetto, nelle zone rosse la didattica a distanza è preferita agli incontri in presenza. Sul piano ecclesiale lo stesso discorso vale per gli incontri di catechesi. La situazione che stiamo vivendo può essere certamente letta come un segno dei tempi, sotto diversi punti di vista. Per tanto tempo abbiamo pensato a una catechesi simil-scolastica, figlia della convinzione di essere in una società dove la maggioranza cristiana assicurasse una base solida all’annuncio e all’educazione cristiana. In realtà c’è un processo di cambiamento in atto da decenni, evidente al punto da non poterlo negare. Eppure è difficile trovare alternative valide. Oltre un secolo fa, Daniele Comboni profetizzava che gli Africani sarebbero venuti a riportare l’evangelizzazione  nell’Occidente secolarizzato. La Chiesa, italiana e non solo, è consapevole della necessità di un nuovo annuncio missionario del Vangelo. Terra di missione è questa nostra Europa, nata con radici cristiane, ostacolata da tanti egoismi camuffati dalla ragione di Stato, divenuta, di fatto, territorio di missione.

L’accoglienza del Vangelo richiede la capacità di rimettersi in discussione, di cambiare. C’è un desiderio diffuso di cambiamento. Ma allora perché, a dispetto di tanti propositi, è così difficile cambiare? Perché è così difficile passare dalle parole ai fatti, quando si tratta di impostare in modo nuovo la catechesi? Certo il cambiamento è affascinante, ma il “si è fatto sempre così” è più rassicurante. Sappiamo le difficoltà e le contraddizioni di una sacramentalizzazione di massa, eppure preferiamo risolvere il problema in modo spicciolo, “togliendoci il pensiero”, spendendo tempo ed energie che sono dono di Dio e, probabilmente, potrebbero essere sfruttate in modo diverso, più significativo.

Ritrovare lo scambio del dialogo personale richiede più tempo, ma offre spazi ampi per una testimonianza più credibile, per un ascolto non scontato, forse più vicino a quella dimensione personale, alla fede come scelta di vita. Arriva sempre un momento in cui la fede, dopo un momento di crisi, si accoglie o si rifiuta. Nella notte, Gesù e Nicodemo discutono appunto di questo sulla base dei riferimenti all’esilio e alla Pasqua ebraica di liberazione.

Tutto il racconto della Storia della Salvezza ribadisce, tra alti e bassi, l’Amore di Dio, un Amore saldo e fedele, premuroso e incessante. Inspiegabile, finanche pazzesco e folle, di fronte alla mancanza di fedeltà del popolo, che si lascia trascinare negli abomini, disprezza la profezia, sottovaluta la premura di Dio, sminuisce i suoi richiami. L’esito del mancato ascolto è l’amarezza di un amore perduto: la perdita della libertà, l’esilio, tempo di sofferenza e di nostalgia, ripensando al Tempio in cui il popolo stesso ritrovava la sua stessa identità. È la premura stessa di Dio, che per mano di un re straniero, Ciro, renderà possibile il ritorno del popolo nella sua terra, nella sua casa. Questo racconta in sintesi la prima lettura, tratta dall’ultimo libro della Scrittura ebraica.

Gesù è venuto nel mondo per ribadire quanto l’Amore di Dio, sia disposto a giungere al punto più alto, nell’oblazione cruenta della croce. Il serpente innalzato da Mosé nel deserto ricordava il peccato del popolo, capace solo di un amore fragile e sfuggente, pronto alla mormorazione e affascinato dall’idea di seguire strade che non portano mai a niente, invitava a rivolgere in alto lo sguardo. Così sarà per il Figlio dell’uomo, innalzato sulla croce. Il legno preparato per una morte infame è il momento in cui poter trovare vita, il suo senso, la possibilità di lasciarsi avvolgere dall’abbraccio di un Amore immenso, fino alla follia.

Dio è Amore. Colui che è l’unico in grado di giudicare, sceglie di seguire la via più difficile, la via dell’amore, appunto.« E il giudizio è questo: la luce è venuta nel mondo, ma gli uomini hanno amato più le tenebre che la luce…» – dice Gesù. In greco il termine “giudizio” si può tradurre con la parola “crisis”. Siamo al momento decisivo, quello più difficile, il punto in cui bisogna essere in grado di operare una scelta. Giovanni riprende il tema del conflitto tra le tenebre e la luce. Un prodigioso duello, che si riproporrà nella notte del sabato santo, secondo le parole di un antico inno pasquale. Siamo destinatari si un amore difficile da spiegare. Un amore che rispetta le nostre scelte, ma non si rassegna all’amarezza dell’amore perduto. Piuttosto invita ad alzare lo sguardo. La libertà è il dono più grande da custodire sempre, non un pretesto per rincorrere innumerevoli amanti e poi nascondersi al buio, sperando di trovar riparo dalla propria miseria.

Lasciamoci interpellare dalla premura di Dio. Operare nella luce e secondo verità, rende possibile una risposta d’amore, nel solco dell’Amore di Dio. Perché fin dall’inizio l’evangelista Giovanni lascia intravedere l’annuncio della vittoria pasquale: «La luce splende nelle tenebre, ma le tenebre non hanno prevalso».

Dio continua ad amare, sembrerà folle e ingenuo, ma in fondo poi sappiamo…che ha ragione!

Write a comment:

*

Your email address will not be published.