Seconda domenica di Quaresima

Il vangelo della seconda domenica di quaresima ci presenta l’episodio della Trasfigurazione. [dal lat. transfigurare, comp. di trans- «trans-» e figurare«dare forma»]. – significa far cambiare di figura, d’aspetto, o anche solo di espressione: assumere un aspetto diverso da quello normale e consueto, per lo più illuminandosi in viso. Gesù, avvolto di luce, cambia d’aspetto, assumendo le sembianze e la gloria della Resurrezione. L’evangelista di riferimento è Marco, il discepolo di Pietro. Un episodio, quello della Trasfigurazione, ben noto, inserito anche nella meditazione dei misteri del Rosario, ma che pure va al di là dei comuni criteri di riferimento che fanno pensare a un miracolo. Non si tratta, cioè, di una guarigione, di qualcosa che coinvolga le folle, un insegnamento, un precetto, non si può annoverare tra le gesta del Messia presente in mezzo al popolo in attesa di liberazione. Piuttosto è rivolto ai tre discepoli, che Gesù chiama in disparte nei momenti più indicativi della sua missione. Si tratta di prepararli al momento più alto e delicato per cui è venuto nel mondo, a realizzare il progetto del Padre. Essi potranno conoscere e vedere con i loro occhi il compimento delle promesse contenute nella Legge di Mosé e nell’annuncio dei Profeti.

Anzi, ad essere precisi si tratta di “vedere al di là”, potremmo dire, di essere capaci di “ulteriorità”.

“Trasfigurare” è il termine che reca in sé la possibilità di cogliere il senso dell’insegnamento di Gesù, dei suoi gesti e delle sue parole. Il senso ultimo della croce: scandalo per i Giudei e stoltezza per i pagani, secondo la descrizione di S. Paolo, eppure debolezza in cui si manifesta la forza di Dio e saggezza autentica di vita, non ingarbugliata nelle filosofie poggiate sui giri di parole vuote. Di fronte a questa rivelazione, in cui Gesù appare splendente di luce tra Mosé ed Elia, Pietro e i suoi amici si trovano spiazzati. E in fondo è la giovane Chiesa di Roma, prima destinataria del Vangelo di Marco, ad essere spiazzata, di fronte al dolore, all’attesa di cieli nuovi e terre nuove, che va a scontrarsi con la dura realtà della persecuzione, dell’esigenza di fedeltà nell’ulteriorità, per vedere, con gli occhi della fede, il compimento del Regno di Dio.

In fondo è anche la nostra fatica: la fragilità nel dolore genera timore e smarrimento. La sofferenza lascia ferite e un senso di ribellione, che non sappiamo mai fino a che punto rappresenta un  legittimo desiderio di giustizia, e da che punto in poi è invece segno di una visione miope che, mettendo al centro il proprio io, dimentica la volontà di Dio. Fino a quando Signore i nostri occhi saranno impotenti di fronte a tutto ciò? Ci concederai la Pace, quella pienezza di benedizione, del cui anelito ci hai riempito il cuore e l’animo?

La terminologia usata da Marco rievoca tanti passaggi dell’Antico Testamento, con riferimenti all’esperienza del popolo nel deserto. In Gesù solo, trova sintesi il tutto. Volutamente Marco si sofferma a sottolinearlo: è in lui il senso di tutta la storia della salvezza, e nella vicenda del messia annunciato dai profeti è già indicato il volere del Padre, come il Risorto stesso avrà modo di spiegare di fronte alle speranze deluse dei discepoli di Emmaus.

La luce della Resurrezione illuminerà di senso il dolore innocente del figlio di Dio, morto da reietto. Di fronte alla croce, Marco ricorderà la prima professione di fede, per bocca di uno straniero: è il centurione romano, che vedendolo spirare così, affermerà: veramente quest’uomo è il Figlio di Dio.

Ecco: vedere oltre significa cogliere il senso. Un senso che a noi, ora, sfugge, lasciandoci feriti e arrabbiati.

Il brano della prima lettura riporta la prova di fede di Abramo, chiamato a sacrificare il suo orgoglio di padre. Dio certifica la sua fede, capace di andare oltre. Poi fermerà la sua mano, perché anche Dio è Padre e per noi non ha risparmiato il suo Figlio. Per questo S. Paolo può affermare con forza: «Se Dio è per noi, chi sarà contro di noi? Egli, che non ha risparmiato il proprio Figlio, ma lo ha consegnato per tutti noi, non ci donerà forse ogni cosa insieme a lui?».

Un invito e un incoraggiamento a ritrovare speranza, a vedere oltre le ferite del dolore, quelle feritoie di luce che presentano il volto del Risorto.

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