Commento al Vangelo del 2 novembre 2024

Mt 25,31-46
Venite benedetti del Padre mio

L’insegnamento di Gesù, nel Vangelo di Matteo, inizia dai “Beati…” e si chiude con i “Benedetti…”. La Legge Nuova delle Beatitudini, trova senso e compimento nella parabola del pastore di stirpe regale. Se il primo brano potrebbe far pensare a un’utopia, la concretezza del discepolo ci ricorda che tutta l’esistenza non si basa sulla conoscenza teorica di una dottrina, ma sulla praticità di gesti di apertura e di accoglienza. Il brano fa parte della trilogia di parabola sugli ultimi tempi, definiti escatologici. La parabola delle dieci vergini, sulla sapienza di fede nei momenti di buio, la parabola dei talenti, sull’attesa carica di speranza e responsabilità, e la parabola delle pecore e dei capri, sull’importanza di esprimere fede e speranza nella concretezza dell’amore. La Chiesa ne ha tratto le cosiddette “sette opere di misericordia corporale, aggiungendovi poi una dignitosa sepoltura dei morti. È qui tutto il senso della vita, quella nostra come dei nostri cari, di ogni uomo e donna, fragile e timoroso di fronte al mistero della morte. Come ricorda Giovanni Paolo II, nell’enciclica Evangelium Vitae (n. 67) tutti siamo consapevoli che ci attende questo passaggio carico di mistero e di timore, consapevoli che fa parte della ineluttabilità del tempo, eppure mai rassegnati o indifferenti di fronte a Colei che S. Francesco chiama “Sorella morte”. Laudato si’ mi signore per sora nostra morte corporale, da la quale nullu homo vivente po skappare. Guai acquelli ke morrano ne le peccata mortali, beati quelli ke trovarà ne le tue santissime voluntati, ka la morte secunda nol farrà male. Laudate et benedicete mi signore et rengratiate et serviate li cun grande humilitate.
Accogliere per sapere di poter trovare accoglienza al momento decisivo della nostra fragile esistenza. Trovare nell’amore non solo il filo di quelle relazioni che ci fanno vivere l’uno per l’altro, ma anche il promemoria per ottenere una caparra di eternità, qualcosa che sfida la morte anche oltre le parole dei sapienti e dei poeti, perché trova il suo fondamento nella parola e nella promessa del Padre, nella vittoria ultima di Gesù sulla sofferenza e sulla morte.
«Fino a quando il Signore Gesù verrà nella gloria, e distrutta la morte gli saranno sottomesse tutte le cose, alcuni suoi discepoli sono pellegrini sulla terra, altri che sono passati da questa vita stanno purificandosi, altri infine godono della gloria contemplando Dio. Tutti però comunichiamo nella stessa carità di Dio. L’unione quindi di coloro che sono in cammino con i fratelli morti non è minimamente spezzata, anzi è conservata dalla comunione dei beni spirituali» (Lumen gentium, 49). Ancora una volta una strada impervia e bellissima da percorrere. «La strada è lunga, ma non esiste che un solo mezzo per sapere dove può condurre: proseguire il cammino» (don Tonino Bello). Mettersi in cammino spinge a guardarsi dentro a guardare oltre, ad incontrare l’altro e a ritrovare l’Altro. Non la morte, ma l’Amore è la parola ultima, che non passa.

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