Lc 21,25-28.34-36 – La vostra liberazione è vicina.
La Speranza sfida la paura
Inizia un nuovo anno liturgico. Torna l’Avvento, con il suo carico di attesa e di Speranza. Torna quell’insopprimibile desiderio di bene, come coglie Papa Francesco nella bolla di indizione del Giubileo, ormai imminente: «Tutti sperano. Nel cuore di ogni persona è racchiusa la speranza come desiderio e attesa del bene, pur non sapendo che cosa il domani porterà con sé. L’imprevedibilità del futuro, tuttavia, fa sorgere sentimenti a volte contrapposti: dalla fiducia al timore, dalla serenità allo sconforto, dalla certezza al dubbio. Incontriamo spesso persone sfiduciate, che guardano all’avvenire con scetticismo e pessimismo, come se nulla potesse offrire loro felicità». Da qui nasce un senso di angoscia che è invece descritto nel Vangelo di Luca. Tuttavia è un tempo odi segni. Nel quadro desolante di un mondo che va in rovina, ecco l’esortazione a tenersi pronti Quando cominceranno ad accadere queste cose, risollevatevi e alzate il capo, perché la vostra liberazione è vicina. Liberi Liberi siamo noi, però liberi da che cosa chissà cos’è… canta Vasco Rossi facendosi eco di tanti giovani e non solo. L’Avvento non poggia sulla precarietà delle aspettative umane, ma sull’orizzonte ampio dell’infinito di Dio. Per questo bisogna risollevare il capo, protendere lo sguardo oltre le illusioni e delusioni, vincere le paure che ci abbattono e ci mortificano, costringendoci a una quotidianità terra-terra, senza prospettive, per ritrovare la dignità che abbiamo ricevuto in dono. Avvento… controcorrente, come ritorno all’essenziale, senza sprechi, perché la povertà sia un segno di novità autentica, di mano tesa all’Emmanuele che arriva. Avvento… di movimento, perché non è tempo del confort, ma del cammino, della capacità di attendere andando incontro, senza perdere il tempo e la sua preziosità, liberi da tanti condizionamenti e da tante dipendenze che tolgono il midollo della vita e così, dietro illusorie promesse finiamo per perdere noi stessi. Avvento è cammino a passo svelto ma senza la frenesia di dover rincorrere il nostro io, senza lo stress che ci lascia spettinati e scontenti, inariditi e vuoti. È tempo di riconoscere i segni, di trasformare i segni dei tempi in segni di speranza. Da offrire agli ammalati, ai giovani, ai tanti esuli profughi e rifugiati, agli anziani: sono sempre le indicazioni di Papa Francesco nell’enciclica Spe non confundit. Abbiamo bisogno di ritrovare un incontenibile amore per la vita, più forte di ogni angoscia e scoraggiamento. Bisogno di ritrovare nel perdono la gioia di una fragilità accolta e amata, che invita ad accogliere a nostra volta quel Figlio dell’uomo, che viene a ridonarci la vita, la gioia autentica a chi l’ha smarrita, la Speranza che non muore, e ci rende nuovi, trasformati a sua immagine, perché il passato non si può cambiare ma possiamo cogliere i segni di Dio che sa trasformare il male, cogliendone occasioni di bene per una vita redenta, davvero!